
Negli
anni Novanta il dato non era noto, e quando alcune criminologhe
femministe verificarono questa triste realtà, decisero di
“nominarla”. Fu
una scelta politica: la categoria criminologica del femmicidio
introduceva un’ottica di genere nello studio di crimini “neutri”
e consentiva di rendere visibile il fenomeno, spiegarlo, potenziare
l’efficacia delle risposte punitive.
Nacque
così il termine “femicide”
(in italiano “femmicidio” o “femicidio”) per indicare gli
omicidi della donna “in quanto donna”, ovvero gli omicidi basati
sul genere,
ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambine. Non stiamo
parlando soltanto degli omicidi di donne commessi da parte di partner
o ex partner, stiamo parlando anche delle ragazze uccise dai padri
perché rifiutano il matrimonio che viene loro imposto o il controllo
ossessivo sulle loro vite, sulle loro scelte sessuali, e stiamo
parlando pure delle donne uccise dall’AIDS, contratto dai partner
sieropositivi che per anni hanno intrattenuto con loro rapporti non
protetti tacendo la propria sieropositività, delle prostitute
contagiate di AIDS o ammazzate dai clienti, delle giovani uccise
perché lesbiche…Se vogliamo tornare indietro nel tempo, stiamo
parlando anche di tutte le donne accusate di stregoneria e bruciate
sul rogo.
Che
cosa accomuna tutte queste donne? Secondo la criminologa statunitense
Diana
Russell
, il fatto di essere state uccise “in quanto donne”. La
loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di
donna imposto dalla tradizione
(la donna obbediente, brava madre e moglie, la “Madonna”, o la
donna sessualmente disponibile, “Eva” la tentatrice), di
essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite,
di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre,
partner, compagno, amante ….Per la loro autodeterminazione, sono
state punite con la morte.
Chi
ha deciso la loro condanna a morte?
Certo
il singolo uomo che si è incaricato di punirle o controllarle e
possederle nel solo modo che gli era possibile, uccidendole, ma anche
la società non è esente da colpe. Diana Russell sostiene che “tutte
le società patriarcali hanno usato –e continuano a usare- il
femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle
donne”.
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